sabato 18 ottobre 2014

Storia di E.

C’è stato un tempo in cui non avevo amici internazionali, e quasi nemmeno interregionali. Non era secoli fa, macché. Era appena dieci anni fa. Anche perché a pensarci bene dieci anni fa ero ancora al liceo. E quando sei al liceo, specie se la tua scuola è in una piccolacittàbastardoposto di diecimila anime, la massima alterità culturale che ti è concessa è quella a cavallo dell’appennino ligure-piemontese. In quel tempo non solo non avevo amici che parlavano altre lingue ed ero terribilmente giovane, ma anche internet era terribilmente giovane. Non c’era il facebook dove com’è come non è tutti a pettegolare con persone della vita quasi reale. No. C’erano realtà che oggi paiono lontanissime come le chat e i forum. E i windowsmyspacelive.  Questo non è un post sull’infanzia dell’informatica, e nemmeno su me pioniere del blog, che se penso al nome che ci avevo mi sputerei volentieri da solo in un occhio (se solo sapessi come si può fare). Il punto è che quei forum erano realtà quasi magiche. La storia che sto per raccontarvi è una storia vera, come tutte quelle che leggete qui.

Bene, andava che tenevo con altri due amici del mio minuscolo paese un forum su musica cinema e tutto ciò di cui un adolescente intellettualoide smania dal poter parlare e trova ovviamente terra bruciata intorno a sé, chè a nessuno gliene cale di siffatte cose. Da grande, e specie poi quando sei giovane e pensi solo alla tipa il motorino e il campetto.Noi non avevamo tipa né motorino, al campetto toccava finirci per forza. E quindi creammo sto musicforum. Ci si iscrisse una tipa. Embè embè era divertente parlare con lei. Non era delle nostre parti, si divertiva molto a chiacchierare con noi, e aveva delle battute che proprio ti lasciavano a bocca aperta. E. si chiamava. Toscanaccissima – la prima di una lunga serie di affinità elettive tra me e gli abitanti di quella terra – aveva un senso dell’umorismo tranciante e diretto, che raramente avevo visto dalle mie parti, figuriamoci poi in una ragazza. Commentava, tra il sarcastico e l’ammirato, anche le cose che scrivevo sul mio blogghetto di allora. A volte mi cazziava per i miei eccessi di intellettualismo. E me lo meritavo pure, non c’è che dire. Ricordo ancora una sua ammirazione: “sei uno grosso”. Prendemmo a sentirci anche sul facebook di allora, msn. All’epoca non c’erano foto ovunque, ci voleva spazio all’immaginazione per capire che faccia teneva il tuo interlocutore virtuale se non lo conoscevi. E magari una che si chiamava Priscilla teneva una faccia e un corpo da Gianfranco Magalli. E. invece no, era davvero carina. E non nel modo patinato in cui lo era il 90% delle liceali che sciamavano nei corridoi della mia scuoluccia di provincia. Aveva grandi occhi verdi felini, capelli ricci ramati, una kefya, lentiggini, e un colorito latte latte. Da msn e dalle sue foto profilo e dalle sue frasi capii anche che aveva una passione smodata per le moto da cross e per la ketamina. Io che a malapena sapevo che fumare l’erba non volesse dire l’erba che cresce ai margini della strada non capivo, o forse non volevo neanche capire. E. era spesso nervosa, e mi mandava a cagare nel bel mezzo di conversazioni. Magari a una sua battuta replicavo e ceffavo la ribattuta, e lei mi scaraventava sassaiole di improperi che manco se piovesse. Eppure, anche con gli altri due miei compaesani con cui la si sentiva, c’era un bel contatto tra noi e lei. Stavamo addirittura organizzando che lei venisse a campoliverpool. Non sapevamo cosa ci avrebbe trovato nel nostro borgo di tremila anime semiaddormentate, ma eravamo convinto che le sarebbe piaciuto.

Ma quella visita non sarebbe mai avvenuta. Litigammo male, ricordo che su msn lei ci faceva un discorso tutto invasato su un rave dove voleva troppo andare con l’obiettivo programmatico di distruggersi e di venire anche noi. Noi le dicemmo che preferivamo altre cose e lei disse che non capivamo un cazzo e ch’eravamo solo dei ragazzetti di provincia e via dicendo. Ce la prendemmo sul personale lipperlì. Non ci venne spontaneo riprendere i contatti. Ci dimenticammo, come spesso accade nella galassia internet, in maniera inavvertita. Le nostre vite, come s’erano trovate, si dileguavano. Nemmeno c’eravamo visti mai, oltretutto.


Io che sono un malinconico e che sono anche uno che non butta via niente cosa feci? Mi tornò in mente il suo nome e il suo cognome. Avete presente quando in mezzo al nulla un nomeecognome vi riempie le meningi come fosse una formula magica e voi ve le spremete chiedendovi: chi cazz’è?! Per non saper né leggere né scrivere googlai quel nomecognome che quattro, cinque anni prima, quando il mio mondo iniziava a Ovada e finiva in cima al Passo del Turchino e lei costituiva una fascinosa fuga sul mondo esterno. e scoprii che quel nomeecognome non respirava più il mio stesso ossigeno, a 500, 1000 km di distanza. “Si sono svolti martedì i funerali di E.C. – così diceva il primo sito apparso – la ragazza diciottenne stroncata da una overdose la scorsa settimana”. Era l’estate del 2008 quando tutto era successo, inizio luglio. Non ci sentivamo da quasi due anni. Mi sforzai di ricordare cosa stessi facendo in quel momento. Forse stavo blaterando le mie prime goffissime parole in tedesco. Non lo so. Mi sforzai di dormirci su, fallendo. Avrei voluto telefonare a qualcuno e raccontare questa strana storia troppo vera, ma non lo feci. La notte seguitava andare avanti, e non c’era nulla che potessi fare.

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