Il negozio non ha
un nome, men che meno un’insegna. Lo trovi in una via che più centrale di così
si muore, all’incrocio con la biblioteca universitaria.
Fosse a Tubinga,
sarebbe una nicchia di minorati minoritari. Un insulso, costosissimo,
pretenziosissimo tempio del vintage. Uno di quei posti dove il gestore ti
insegna a vivere, poiché è stato lontano, nello spazio e nel tempo, pur essendo
entrato l’altro ieri negli –enta.
E invece no. Siamo
a Jena. E quel negozio senza nome, men che meno un’insegna, non è l’ennesima trappola
spennahipster. Ma è un ragionevole e dignitoso – leggasi, animale in via di
estinzione – RIGATTIERE.
Cose prodotte all’epoca
degli elmetti a punta prussiani, dei baffetti a francobollo e delle croci
uncinate, e del martello e compasso al servizio di una compassata sudditanza
sovietica, sono presenti in gran copia. Accatastate q.b. per destare l’istinto
archeologico del canide collezionista in cercatore di ossi sepolti. Polverose q.b.
da mostrare il corso del tempo, senza degenerare nella sagra dell’acaro. Economiche
q.b. da poterti portare a casa senza farti troppi problemi un lembo di vite
degli altri, e non solo dell’epoca di quel Le Vite Degli Altri.
E il gestore,
poi. Nessuna barbetta con indosso il maglione appartenuto alla zia di George
Harrison dopo il viaggio in India del nipote. Ma un loquace turingio alla
soglia della settantina, uomo i cui occhi ridono da averci fatto le rughe, che
viene fuori e ti accoglie, mentre suo figlio, dialetticamente burbero, resta
schivo nel retrobottega. E l’esperienza. Di chi ti vende un piatto di
porcellana MADE IN GERMAN DEMOCRATIC REPUBLIC e ti sa dire vita morte e
miracoli della dittarella che lo produsse – soprattutto, ahimè, la morte. E che
ti accartoccia premuroso ogni singolo pezzo in un foglio di giornale. E intanto
ti istruisce su come far funzionare ancora oggi un lume a petrolio più vecchio
di lui, della DDR, e forse anche dell’imbianchino austriaco. Che torni a casa,
e scopri che funziona davvero.
Poi torni da lui,
invece, ed è lui che ti saluta per primo. E ti chiede se i tuoi genitori hanno
fatto buon viaggio tornando in Italia, con la stessa schiettezza e la stessa
cura con cui ti incartava ogni singolo pezzo. E grazie al quale, tanto la
lampada quanto te, vi potete sentire tutti e due un po’ più a casa. Lei su un
comodino di un’abitazione costruita dopo la seconda guerra mondiale in un paese
della Liguria, tu, nella stanza dal parquet scricchiolante in un palazzotto
dove pare abbia vissuto duecentoanni fa un certo signor professor Schelling.
Dio, il WWF, Slow
Food – insomma, chi volete – salvi il rigattiere di Jena!
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