lunedì 6 gennaio 2014

Prima del calcio di rigore

Vivere è bello perché è bello incominciare, diceva qualcuno, ma gli inizi possono essere anche terribili. È l’ansia del portiere prima del calcio di rigore (questo lo diceva qualcun altro). Poi l’arbitro fischia. E come va va. Dagli undici metri, in quei fatidici, strani secondi, ci si dimentica che la partita continua, dopo il rigore. Che ci sono ancora minuti, a volte anche tanti. Parare un rigore, poi, pare sia l’eccezione, non la norma. I rigori, in quel caso, ‘si sbagliano’. Come se il portiere fosse un eroe, o anche un guastafeste dell’ordine cosmico. L’attaccante non deve sbagliare, questo è sicuro. Per questo, probabilmente, si sente più sotto pressione dell'estremo difensore. Che se riesce a parare è bonus, grazia divina, gesto supererogatorio si dice nel dialetto dell'etica. Ma quella frazione di secondo tra il fischio dell’arbitro e l’esecuzione… il portirere non può che sentirsi davanti a un plotone d’esecuzione. chi come me deve iniziare un post-doc in filosofia, ha invece di fronte un non meno minaccioso Platone d’esecuzione.
Ad ogni modo, meglio l’ansia da calcio di rigore che il rigor mortis. E questa, a differenza della precedente, non è solo una boutade giocoparolista. Ma quel che è ancor più vero è che devi ritrovare il rigore (Idem). Dopo un po’ di pensionamento tra casa e mohlstrasse, con atmosfere stile vacanze estive. Stare assieme sera mattina e pomeriggio. E poi dirsi: domani, di nuovo. Facciamo colazione! Sì, alle 13.15. Vita da Vitelloni. Con il lusso di avere dei veri amici a fianco, e saperlo. Ma anche con tutto il rischio di crisi esistenziale annesso e connesso. Pattinare sul ghiaccio sottile. Che in inverno basta niente e si apre. Quando è buio già alle cinque, forse non è il momento migliore per iniziare qualcosa. Però è così. E stavolta, voglio dire, non devi imparare una lingua da zero. E non devi scrivere una tesi. (anzi, un po’ si, ancora, sempre e di nuovo). E non hai più ventidue anni (meno male! Anche se ora ne hai appena compiuti ventisette! Toccati i cojones! – anzi, non è il caso, a malapena sai suonare il citofono) è buffo come cambiate certe variabili più o meno esterne e acquisite consapevolezze anche decisive, certe sensazioni si riaffaccino. Ciclicamente tornano. Tutto è altro eppure identico.

E non è un gattopardo che si morde la coda, per fortuna. 
È solo che a volte ti dimentichi che nel pacchetto ‘scappato di casa stile scrittore americano’ allinclusive c’è anche questo, la paura degli undici metri. Prendere o lasciare…

1 commento:

  1. In bocca al gattopardo, insomma!
    E ricorda che Baggio è rimasto Baggio anche dopo il fattaccio...
    baci

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