mercoledì 19 giugno 2013

All things must pass

In questi anni che ho vissuto tra tubinga e l’italia ho creduto che la mia comune hippie della mohlstrasse fosse eterna. Tutti questi ragazzi e ragazze li ho sempre visti come pilastri inamovibili, nella certezza che quando tornavo dai miei venti giorni a genova loro c’erano. E così è stato fino ad ora. Di tanto in tanto vedevo i fogli apparire con la lista di quanti erano in scadenza di contratto e non me ne curavo. Conoscevo così poca gente alla mohlstrasse nei primi sei mesi che non sembrava mi riguardasse. Non mi sentivo ancora parte di questo meraviglioso e imperfetto esperimento di convivenza umana. Ci ho messo molto ad aprirmi, a sentirmi parte. E ora la mohlstrasse  è l’unico modo in cui sento che potrei vivere, a volte penso. Con ottanta persone attorno, di cui almeno cinque che ho sentito non solo in sporadici momenti come decisive. E che stanno andandosene. Improvvisamente, il tempo ha fatto irruzione alla mohlstrasse, come una rapina a mano armata. Da alcuni mesi J., quello che da voleva fare il clown e invece ha iniziato da alcune settimane a fare l’informatico in un azienda, ha preso a dire quotidianamente di stare per cambiare casa. E presto lo farà davvero.  Contemporaneamente, il grande D.B. annuncia la sua imminente dipartita. D.B. è un ragazzo mezzo inglese mezzo tedesco, grande e grosso come un tedesco e un inglese messi assieme. Ha un fisico da hooligan ma credo sia una delle persone più di cuore e generose che io abbia mai conosciuto. Laureato in storia, animo pacatamente irriverente, scettico sereno, disposto naturalmente al buon umore, camicia blu di saturn per svariati mesi, indomito tracannatore di birra e esperto di musica, D.B. lascia la mohlstrasse la prossima settimana per un viaggio in India di cui non ha comprato ritorno. E poi c’è la presidentessa della cucina. Una ragazza schiva e tutta nervi, silenziosa e un po’ pignola, ma che ha sempre apprezzato le mie battute e creduto molto in me. Viveva rintanata nella sua stanza, e improvvisamente s’è laureata e ha trovato un posto volatile da insegnante di tedesco per stranieri al Bodensee. Il suo fidanzato, anche lui interno alla mohlstrasse, ha una barba alla abramo lincoln, un’insofferenza alla vita piccolo borghese che gli fa onore d’essere conterraneo del sommo Boll, un accigliato cinismo nichilista che conosco molto bene dai conterranei invece miei, e anche lui una clamorosa stima nei miei confronti. Non importa che film proietti, io ci sono di sicuro mi ha detto. Questo, da un giovane uomo della renania (Hagen come Kai Hawaii per l’esattezza) indurito dalla sorte non proprio amica e capace di cucinare deliziose reibekuchen (frittelle di patate) proponendomi di ibridarle con le nostrane bruschette. Cose così non possono non commuovere il mio vivere come tentativo naif sulla terra. Niente, se ne andrà pure lui.  E per ultima, LEI. La protagonista dello scorso post. Questa forza della natura così traboccante e così fragile ha detto basta con la mohlstrasse. Ci hanno tolto i divani, l’atrio pare una pista d’atterraggio per elicotteri (questo non l’ha proprio detto lei, eigentlich), e la privacy. A fine semestre se ne andrà. Metterà tutte le sue adorabili cose che hanno composto quella stanza in cui ho sostato così volentieri in tante sere in una scatola, riaprirà quella scatola e le disporrà altrove. Ricreerà quell’odore unico, quei toni ambrati dall’arancione al verde, e il suo habitat. La stanza sarà affittata a un’altra persona, come è logico che sia. Tutto va avanti, tutto deve andare avanti. All things must pass, dicono quegli allegroni dei van der graaf generator. Io tra me e me sono un po’ distrutto. So che non avrò e che lei non avrà la costanza di tenere un rapporto. Sento che svanirò. Che purtroppo la quotidianità è il nutrimento dei nostri animi danzanti ma ahimè anche un po’ bodenslos. Ci scriveremo qualche mail, per un po’. E a poco a poco ci perderemo, in questo mondo così piccolo ma così veloce. E così stupido. La vedo già all’orizzonte, come una cosa buona e lontana. Come un treno che parte e si fa sempre più piccolo e poi rimane un trattino indistinto tra la strada ferrata ed il cielo. E poi più nulla. Tutte le cose devono passare, certo. È un costante rinnovo, e c’è anche un certo sollievo. Ma questa sera il perpetuo divenire non è altro che una ginocchiata nelle costole. Proprio come quelle che insaccava il giovane Holden.

5 commenti:

  1. "È forse questo che si cerca nella vita, nient'altro che questo, la più gran pena possibile per diventare se stessi, prima di morire".
    Céline

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  2. Chi parte, chi arriva.

    Ti conosco grazie ai racconti di Elisa. In un paio di mesi sarò anch'io una dottoranda sullo sfondo del paesaggio di Tubinga. L'ennesimo sfondo. Chissà se ne verrà mai fuori qualcosa di buono.

    paolademagistris AT hotmail.com

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  3. eli, in effetti questa 'pena' fa sentire vivi: negli ultimi mesi quel senso di eterno spettatore nei confronti della vita o di sorda assenza si è fatto da parte... uno dei motivi fondamentali sta nel post precedente a questo. e grazie x la pubblicità al blog :)
    paola, sono contento di sapere che c'è anche gente che arriva a tubinga :) su cosa farai il tuo dottorato qui? io ci sarò fino a fine settembre...!

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  4. Biologia, fortunatamente in inglese. Starò un paio d'anni, poi il gruppo di ricerca si trasferirà altrove in Germania, con me appresso! Arriverò a metà agosto. Sono molto entusiasta, spero di mantenere questo stato d'animo nel tempo :)

    Ci sarà chi vedrà te passare come tu hai visto passare altri prima. Ho smesso di considerarlo un fatto triste, cerco di bastare a me stessa :D Non avrei voluto dover lasciare Heidelberg, ma da altre città sono saltata via col primo mezzo disponibile. Abitudine. Panta rei?

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  5. abitudine al panta rei ormai :P bene, ci si vede ad agosto allora! una mia conquilina è pure dottoranda biologa anglofona!

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