Sono stato in alcuni luoghi. Non so
se tanti e pochi, non c’è unità di misura che conti, che valga.
Ho incontrato persone, tante a dire
il vero, e in ognuna di esse ho visto una possibilità, un esperimento, un modo
di esprimere l’indeterminato e potenzialmente tutto dello stare al mondo umano.
Ho smussato molti angoli: nel
cambiare le proprie percezioni abituali, i paesaggi che s’ha davanti uscendo di
casa, lo stile delle case che formano i paesaggi, ho imparato a non dare più
alcune cose per scontato. Il colore dei tetti, da noi così rosso. Le finestre,
che qui hanno sempre gli infissi bianchi. L’assenza o la presenza di persiane. E
così via.
Mi sono confrontato col fare la
spesa, col trovare nell’arco della giornata o della settimana il momento per
fare la spesa. E ogni giorno il momento per cucinare. E poi capire quando è il
momento di fare il bucato, di dare una ramazzata in terra e così via. Pulire,
gestire gli spazi. Farsi la barba, la doccia, sentire i ritmi del proprio
corpo. Ho bisogno di una passeggiata, no, non riesco a mettermi subito così
davanti al pc, mi serve prima un contatto umano, un come stai o una risata per
sentirmi di nuovo sulla terra.
Nei miei conquilini ho visto le più
diverse espressioni dell’uomo. Avendone un’ottantina si dispone di un buon
campionario. I generosi e gli scrocconi sono diventati qualcosa di
immediatamente percepibile. I sempre di cattivo umore per partito preso, i
taciturni, gli apparentemente svolazzanti e chi davvero trasmette armonia.
Per lungo tempo ho creduto che
vivere fosse risolvere problemi. Questo significava, in altri e uguali termini,
acquisire consapevolezza. Ho cercato di acquisire consapevolezza. Del perché ho
reagito così a quel gesto, a quella parola. Del perché ho dovuto aspettare tre
giorni prima di rispondere a quella mail.
Del perché con certe persone la
conversazione prende sempre certe pieghe e mai altre. Con alcune è una vera
propria asta al rialzo per il campionato mondiale di disillusione. Dopo essersi
conosciuti, sentire che era meglio restare un po’ più sconosciuti.
Dopo anni di illuminismo implicito,
per cui prendere coscienza del problema equivaleva a dire il problema è
risolto, e dell’autoanalisi come pratica quotidiana, prendere le distanze dall’introspezione.
Il miglior modo per non farsi scappare alcune cose è non confidarle neppure a
se stessi.
Trovare il nascondere le cose sotto
il tappeto anche in padri di famiglia alla soglia dei sessanta. O la testa
sotto la sabbia e vedrai che tutto è come prima. Una pietra sopra. Tutto come
prima. Come no. Come se.
Aver creduto che la vita consiste in fasi,
aver creduto d’aver esaurito le proprie fasi, aver sentito di non sentirsi più,
di non sentirsi in nessuna fase. Essere fuori fase. Essersi liberato dal mito
delle fasi, dalla cartografia dell’anima, del dove sono adesso.
Aver vissuto di fronte a un giudice
invisibile, orientare la propria vita in base a precetti, voler seguire un
percorso. Aver avuto intuizioni credute folgoranti e originarie, aver risalito
molte correnti in cerca dell’originario. Verità stagionali. Principi primi a
tempo determinato. Slogan esistenziali. Muoversi per antitesi, in sintesi
sempre provvisorie. Sentirsi alla sintesi. O in una fase di transizione. Aver capito
che tutta la vita è un periodo di transizione. Che la vita è in quanto tale
transitare.
Chiedere alla vita che sia vita. Sentire
che la vita non è abbastanza vita. Volere di più, essere definiti un più in
quanto tale. Volersi definire, voler essere definiti.
Sentire di non avere più niente da
dire. Non trovare più letture ascolti visioni d’interesse. Neppure dialoghi. Essere
stufi di sé, credere di conoscersi ormai troppo. Sentirsi alla fine dei propri
tempi.
O alla fine dei tempi punto. Accusare
la decadenza dell’epoca. Mettersi in bocca parole di rimprovero e di
insoddisfazione. Che cambiano, anche loro.
Approssimare. Accontentarsi. Rivivere
cose credute archiviate per sempre, dieci anni dopo. Stupirsi che è solo cinque
anni che oppure che è già cinque anni che. Non sapere dove si sarà tra cinque
anni. Sapere dove si sarà tra cinque mesi.
Non essere nel migliore dei mondi
possibili, e sopportare quasi quando si darebbe un 7 alla propria vita. Quella
tiepida pacata contentezza che sa tanto di menzogna. E invece no, forse no.
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