domenica 20 gennaio 2013

Abbiamo le stesse mani


Ora che ci penso, ho passato gli anni più intensi della mia adolescenza e quelli più intasati della postadolescenza a leggere storie di scappati di casa, di ingranaggi non oleati nel motore della società, di debosciati detuonati squattrinati squinternati. Bukowski, fante, miller, fino ad arrivare al più speranzoso kerouac. Senza dimenticare il lupo della steppa o prima di tutti il giovane holden. Cani sciolti, cani randagi, anarchici più che rivoluzionari. Anarchici perché capaci di vedere l’insensato in ogni archè, principio primo, forma costituita, regola, ordine, mito. Vite spericolate, eppure introversi, a tratti spacconi, incapaci di legarsi alla catena dell’utile, alla legge del profitto, di connettere il prima e il dopo. Alcuni di loro, come fante, di umilissima origine, con mani troppo contadine, come lui stesso diceva, eppure mani che avrebbero potuto scrivere romanzi, direbbe hank, eppure perlopiù si son sprecate nel firmare cambiali e in zaganelle in camere ammobiliate. Non sapevo allora cosa fosse vivere in una camera ammobiliata, avere un affitto, vivere lontano da casa, vivere lontano dalla famiglia e dagli amici, anche perché all’epoca la famiglia la esecravo con la stessa loro superbia e gli amici praticamente non ne avevo. Nemmeno allora mi ero ancora confrontato con la necessità di combinare pranzo e cena, per cui la loro lettura era uno svago avventuroso, una proiezione divertita, col culo al caldo per poter ammirare la loro sfacciata sincerità. Allora poteva avere ipocrisia e superficialità continuamente tra i denti come se piovesse. Chissà perché oggi la parola che ho sempre tra i denti è ingenuo… Ora che col mondo di lavoro mi confronto da alcuni mesi, ora che ho visto alcune scene, pur poche ma già qualcosa, so qualcosa di più di quel che significa il borbottio e i vaffanculo rocamboleschi che si susseguono nei loro racconti. Il disperato bisogno di un’affermazione di sé (ma soprattutto di amore) e la sensazione che tutti ti riconoscono dalle mani che tieni. E credo che alla fine la mia visione del mondo me la sono formata sulle loro pagine. Così piene di enfasi e così disilluse, così romantiche, e così prive di ogni assoluto a cui potersi aggrappare, neanche per un po’.

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