È strano, forse, fare bilanci in estate. Eppure l’estate,
ancora oggi che ho ventotto anni, quasi come quando andavo a scuola, è un po’
una pausa. E le pause sono spesso di riflessione. Si rallenta, o addirittura si
ferma la vita ordinaria. Si chiudono, o almeno si socchiudono i consueti
strumenti di lavoro. Le giornate sono troppo lunghe… per essere riempite di
lavoro. O forse no. Forse l’estate è una stagione come tutte le altre. E se non
si è esplicitamente in ferie si lavora. Non è che perché c’è il sole l’operaio
della fabbrica o il CEO possono andare in spiaggia. Ma per chi fa un lavoro
intellettuale, che vive anche delle proprie sensazioni, anzi: del proprio
sentire – e che vive più o meno ascoltandosi, no, l’estate non può essere un
momento dell’anno come tutti gli altri.
Estate, dilatamento del tempo, tempo per sé, tempo per
pensare, tanti ricordi, a volte anche troppi. L’estate, tornare al paese dove
sono stato bambino. L’estate e l’infanzia sono per me quasi la stessa cosa.
L’odore dell’asfalto rovente o appena bagnato, il salino del mare addosso, le
lunghe camminate serali che non portano da nessuna parte. Gli amici di sempre,
ognuno alle prese con la sua vita, più o meno incentrata sul paese da cui tutti
veniamo. I tanti visi noti ma con cui non si parla. Ci si passa accanto, a
volte anche giudicandosi silenziosamente. E fa sempre un po’ male, nonostante
tutto.
L’estate, la possibilità di vivere coi sensi più pieni,
tuffandosi nel mare, affondando un piede nella sabbia, toccando una roccia di
fiume col palmo della mano… poter vivere all’aperto, senza doversi riparare dal
freddo, con vestiti leggeri (e con pensieri non sempre altrettanto leggeri), il
desiderio di un’estate che dura tutto l’anno (chiamata Italia?).
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