giovedì 10 ottobre 2013

Le mai ultime 'ultime volte'

ciò che vi è di veramente insostenibile nel lasciare un luogo sono le ultime volte. l'ultima volta che incontrerai quella tale persona che magari nemmeno è troppo importante però la vedevi di tanto in tanto ed era già 'casa', l'ultima volta che andrai a comprare un disco da Peter l'anarchico di Wuppertal, l'ultima volta che andrai dalla pasticceria ZuccaBacca a slaffarti una fetta di torta ai mirtilli e philadelphia, l'ultima volta che dirai una belinata per caso con questo o con quello incontrato mentre ti metti su il caffé o vai al cesso. perdere la naturalezza con cui ci si incontra in maniera non pianificata significa dover rinunciare a una naturalezza che a conti fatti ha significato spesso 'non voglio impegnarmi' e quindi 'non so chi tu sia per me'. forse significa iniziare a volersi vedere davvero. a non darsi per scontato. non poter più pensare 'bussami mi troverai' significa non poterla più vedere per caso, ma interporre un cappotto e i primi freddi tra il pensiero dell'altra/o e la sua raggiungibilità. 
nel frattempo, è difficile fare le cose con naturalezza quando sai che le fai per l'ultima volta. che poi è sempre una penultima. terzultima. l'ultima da residente in pianta stabile. almeno credi. già lo credevi, nel maggio del 2010. ma che stavi a dì. sapevi che saresti tornato. e ti seccava pure. e invece... hai conosciuto tanti fratelli quasi sempre maggiori in quella catapecchia pulciosa e bohemien che i primi tempi ti ricordava quasi un vecchio casolare di campagna, stile la luna e i falò, dove tu, quasi come un bastardello , venivi accolto da questi tedesconi alti un casino più di te e da queste tedeschine così innocentemente pericolose. e ti ha dato tanta pace pensarti e pensarvi lì dentro, tutti assieme sotto lo stesso tetto.
il contraltare necessario del valzer delle ultime volte è il goffo incespicare delle prime volte. scoprire dove ti piacerà comprare il pane, uno snack, una cazzata qualunque. dove potrai e dovrai riiniziare, sempre e di nuovo, a piantare i tuoi quattro picchetti e a innalzarti una tenda che presto o tardi diventerà casa. l'umana bestia è per natura recalcitrante al divenire. brama alla stabilità, alla dimora, al rifugio. non accetta di dover ricominciare sempre e di nuovo, come un nomade con un fagotto. poi vede la sua cucina invasa dai ragazzi del 95 (se non del NOVANTASEI) al loro primo semestre e accetta il 'porta via i bal' intrinseco ad ogni panta rei. le prime strette di mano con nuovi conoscenti e colleghi, la prima scrivania tutta tua in ufficio dove fuori c'è pure il tuo nome. un ragazzo italiano che scrive la tesi di laurea su buber e che ti ha conosciuto prima in carta e inchiostro e solo oggi in carne e ossa. e che non gli par vero. di certo non la prima volta nella leben als mitleben, nel vivere come vivere-con. la collezione di conquilini s'incrementa, e con essa esperienza, ovvero ironia. ripartirà il setaccio del conoscerne cento per arrivare a uno, a quella persona che prima o poi incontri e dà un senso ad uno scambio di parole e emozioni che non sia solo una contrazione della muscolatura della cavità oral-faringea.
Sentirti solo ti è parso quasi un lusso, in questi due anni. Ora sarà la norma. devi riiniziare tutto da capo, sempre e di nuovo. Separarti dalla quotidianità in cui dopo mesi e mesi hai trovato un manipolo di persone dannatamente sensate, ovvero, che t'importa di loro e che gli importa di te. Non sempre si riesce a vivere CON chi si vuole. Questo ti è a scadenza regolare interdetto. Ma è quasi una consolazione, se pensi a colei per la quale occorre cambiare una preposizione alla frase di cui sopra finendo per citare Montale: Non sempre si riesce a vivere PER chi si vuole. e lei non te l'ha permesso. dice che le mancherai. non crederle.

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