venerdì 16 novembre 2012

Herr Ferrari gegen Suddeutsche Zeutung


Una delle cose che si imparano troppo tardi quando si è freschi sbarbatelli universitari è non dare il proprio numero di telefono a nessuno che offre cedolino volantini coupon ricchi premi e quant’altro. Chi di noi non è passato attraverso i Lucignoli di Lotta Comunista, Mondolibri, club della Memoria, comunità di recupero e recupero della comunità? Chi di noi non è stato da loro benevolmente, amaramente, indegnamente fottuto?
Accadde così che le stesse cose tornarono. Nella tranquilla località di Tubinga mi sono fatto offrire cappuccino gratis dalla Gaulouis, e se avessi voluto un parimenti costo zero taglio di capelli entro furgoncino blu; ho ricevuto un vangelo in omaggio su cui esercito talvolta il mio raccogliticcio alemanno. Ma un giorno mi fotterono. Mi trovavo a mensa, erano i primi mesi, e avevo bisogno di un paio di cuffiette per l’emmepitre. Pensavo che l’isolamento musicale, in biblioteca quanto a casa avrebbe potuto migliorare le mie stressate prestazioni di studio. Virag, un nome che è tutto un programma – in ungherese vuol dire fiore, per la mitologia greca a noi forse più familiare, donna guerriero – era entrambe – mi prese di peso – per farlo occorre proprio una Virago, non c’è che dire – per porre alla mia attenzione che quelli della Suddeutsche Zeitung stavano banchettando allegramente con frutta e lupini – senza, in verità, ma ci stava bene – offrendo quotidiani ai viandanti. La Suddeutsche Zeitung, letteralmente, giornale della Germania del Sud, ben oltre l’essere il corriere di qualche angolo crucco meridionale, è in verità l’organo di stampa principale di Monaco di Baviera, del Baden e molto di più. Ha una vocazione internazionale e un’ottima strategia imprenditoriale. Preso dalla foga e dal desiderio delle cuffiette firmammo un fatale cedolino che sanciva due settimane gratis di Suddeutsche Zeitung a casa e gadget in omaggio (cuffiette!!!)
Non lessi mai quei giornali. Ogni tanto li vedevo arrivare, ma non erano mai nella mia cassetta. Il tempo passava. Arrivò una lettera dalla SUDDEUTSCHE ZEUTUNG, ma era in tedesco e decisi che non mi interessava. Riarrivò. Triarrivò. Iniziai a capire. Scadute due settimana di prova, la SUDDEUTSCHE ZEUTUNG aveva deciso di insediarsi nella mia abitazione desiderando tre mesi di pagamento pari a oltre cento euro. Per un giornale che non avevo mai letto. Le cuffiette più care della storia! Ignorai la faccenda. Per un po’ pensai di fare finta di nulla, pensavo che nell’arco di pochi mesi sarei tornato in Italia e chi si è visto si è visto. Poi mi venne l’atroce sospetto che avessero anche il mio indirizzo italiano. Se i miei lo avessero saputo, si sarebbero ulteriormente sentiti legittimati nel loro sport preferito: trattarmi come un bambino distratto. Affinché non lo sapessero, bastava usare il cedolino, che la SUDDEUTSCHE ZEUTUNG con solerzia apponeva a ogni lettera. Chiesi consiglio a Daniel, il mio coinquilino. Si fece carico della faccenda con affetto e prontezza, scandagliando la lettera e il sito. Ma fu tedescamente lapidario: du musst zahlen, DEVI PAGARE. Partire è un po’ morire, ma anche pagare non scherza. Non mi diedi per vinto. Incontrai una mia amica genovese anche lei qui a Tubinga, e le chiesi cose era meglio fare secondo lei. Aveva una certa esperienza su questo genere di cose. Mentre Nathan mi suggerì di attivarmi, prima che anziché qualcosa dalla SUDDEUTSCHE ZEUTUNG iniziassi a ricevere QUALCUNO dalla SUDDEUTSCHE ZEUTUNG, la genovese mi consigliò di scrivere una lettera in inglese qualificandomi come un poverino / mentecatto / bipede implume del tutto ignaro dei grandi guai del mondo. Ci riuscii splendidamente.
Dopo aver contraccambiato la sua consulenza nel redigere una lettera pietosa (che suscitasse pietà, ma proprio pietosa in sé) con una lezione improvvisata sul caro amatissimo Nietzsche, e dopo aver fatto leggere con mucho gusto la lettera anche a un compare di sventure tedesche, bluesman siciliano che avrebbe suonato a breve a Berlino e che fece suonare a Settembre per tre giorni la porta d’allarme di casa mia, spedii la mail alla SUDDEUTSCHE ZEUTUNG. O meglio. Creai una casella di posta elettronica fittizia, apposta per l’occasione. Ero talmente irrintracciabile che non mi ricordavo nemmeno come l’avevo chiamata. Tentai di fare login diverse volte con diversi indirizzi verosimili che la mia mente malata aveva potuto secernere, ma nada. Si può essere più stupidi? Ma, probabilmente, date le circostanze fu un colpo di genio. Neanche volendolo avrei potuto essere così completamente scemo. Un brivido che dovrei provare più spesso. Mandai la mail, e il giorno dopo, a mensa, dopo aver dribblato la fila dei carnivori per mettermi in quella dei vegetariani facendo scaccomatto all’ultimo secondo rimettendomi tra i carnivori – un trucco che fu disapprovato dal mio tavolo ungherese ispanico turco con orrore – cara Italia! ecco il tuo figlio! – mi suonò il cellulare da un numero sconosciuto, ma non criptato. Una timida amante segreta che aveva reperito il mio numero attraverso fonti segrete! No. Una segretaria incazzata come un leone con un molare cariato che cercava Herr Ferrari (il qui presente) e a cui risposi con un tedesco alla Novalis (anche no!) che subito, capendo (già troppo tardi!) l’antifona convertii in un inglese da hooligan depresso in astinenza dopo bastonature ripetute sulla scatola cranica. C’era un casino allucinante in mensa e non capii molto. Meglio. 
Tornando a casa, provai a fare login ma non c’era modo. Creai allora una nuova casella di posta elettronica, sempre dallo stesso provider. Scrissi con questa alla SUDDEUTSCHE ZEUTUNG che non riuscivo più ad accedere alla mia vecchia casella e che confermavo quanto detto sopra. La mia dignità toccò i livelli della nazionale calcistica di San Marino. Però funzionò. Di lì a un giorno mi risposero, con una mail prestampata con cui si auguravano di avermi presto di nuovo tra i loro lettori e con cui si auspicavano che mi fossi goduto la SUDDEUTSCHE ZEUTUNG. Mai aperto, mai letto. Le cuffiette avevano già smesso di funzionare da diversi giorni.

(febbraio 2010)

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