sabato 12 maggio 2012

migranti


Alla stazione di Berlino ho visto ieri alcuni vagoni che recavano un cartello: migranti russi. Erano tutti ebrei. Guardavano fuori. Noi - io e mio cugino Eliasberg - gli abbiamo parlato. Uno mi ha chiesto: "Che città è questa?" Non sapevano minimamente dove fossero, solamente che stavano andando "verso l'America". Così perduti! Stavano viaggiando in solitudine, senza una guida, e ad Amburgo li attendeva un agente. Che cosa avrebbero fatto laggiù, non lo sapevano. Come una cosa gettata nello spazio vuoto. I funzionari li trattavano come animali. Da un ferroviere ho appreso che sarebbero stati condotti in alcune baracche per passare la notte. Avrebbero ricevuto del pane e sarebbero stati esaminati da alcuni medici per controllare eventuali malattie infettive. Li abbiamo seguiti, ma non c'è stato concesso di entrare nella zona delle baracche. A nessuno infatti è permesso di avvicinarsi ad esse. Prima di ripartire ci salutavano insistentemente, e c'era qualcosa di gioioso nei loro movimenti. Uno ci ha chiesto: "Voi fate qui?", ovvero: "Avete un lavoro qui?". Non poteva neanche immaginare che qualcuno potesse recarsi in qualche luogo per un proposito che non fosse quello di un duro lavoro di fatica. 

Martin Buber, lettera a Paula Winkler, 14. 5. 1900.

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