domenica 22 febbraio 2015

ISIS, ovvero: Umanesimo e Antiumanesimo nel nostro tempo

Quelli dell'Isis cominciarono con far saltare per aria le moschee sciite, la scorsa estate. E noi non li degnammo d’attenzione, perché erano ‘affari loro’. Non capimmo che la via che conduce dal distruggere dei luoghi simbolici all’eccidio di vite umane è terribilmente breve. Ma non ci interessava. Poi avanzarono. E iniziarono a riversare odio e violenza su uomini e donne yazide. E iniziammo a indignarci, ma un malcelato esotismo nei confronti di un culto pagano mai sentito prima distrasse molti dall’orrore. Poi iniziò la processione degli ostaggi. Il primo, il giornalista James Foley, fu abbastanza statunitense dal valere la prima pagina e l’attenzione mondiale. Ne seguì un altro. E un altro ancora. E così via. Presto lo sgozzamento rituale dell’ostaggio prese a valere appena un trafiletto sui nostri giornali. Nel frattempo, azioni parallele, in un crescendo rossiniano di violenza simbolica (e terribilmente reale), hanno insanguinato e alzato il livello del terrore nella Francia del periodico satirico tardoilluminista Charlie Hebdo, nella garbata Danimarca che discuteva proprio di tali episodi, e avanti così. Bambini iraqeni ammazzati perché guardavano (leggasi: veneravano paganamente) il calcio, un pilota giordano posto in gabbia e arso vivo, due decine di cristiani copti egizi sgozzati uno ad uno, con chirurgica efferatezza, sulle rive del Mediterraneo (passando attraverso scene che neanche Fascisti su Marte, come un rogo di strumenti musicali in Cirenaica). Fino ad arrivare alla parata dei curdi di oggi. Messi in gabbia come bestie da zoo, portati in giro per le vie gremite di folla di una città dell’Iraq su occidentalissimi pickup. Un’umiliazione paracircense degna di Goebbels.

Questo climax ascendente di atrocità conduce ben presto all’assuefazione al Male di Baudrillardiana memoria. Assuefazione nella quale i nostri ricettori morali rischiano di spegnersi. L’orrore è diventato una cosa normale, prevedibile. Che smette anche di fare notizia. O che al contrario viene pompato con macabra manipolazione. Si perde lo sgomento, si perde l’indignazione, in questo stillicidio mediatico di abiezione quotidiana. O al contrario, si aizza l’odio verso l’Altro, in maniera strategica. Chi profitta di tutto questo sono ovviamente le destre nazionaliste: uno spettro xenofobo si aggira oggi come ottant’anni fa per l’Europa – proprio adesso in cui gli ultimi reduci di quella violenza nazifascista novecentesca si stanno addormentando per sempre. Chi cade in balia della facile tentazione, suggerita da media sempre tendenziosi, di sostanziare nell’Islam tutto il male del mondo, rendendo Isis e Islam poco più che sinonimi, non ha capito però una cosa. Che l’Islam è solo un substrato, su cui attecchisce oggi la violenza ferina dell’antiumanesimo.


Il vero scontro di civiltà non è tra Europa e mondo Arabo, e nemmeno tra Cristianesimo e Islam. Il vero scontro deve essere compreso come quello tra umanesimo e antiumanesimo. La cristianissima Spagna cinquecentesca ha ucciso centinaia e centinaia di migliaia di nativi americani. L’illuminista e romantica Germania ha sterminato milioni di ebrei settant’anni fa. Lo Stato Islamico desidera non essere da meno, pare.  Trasversale, aldilà delle identità culturali, linguistiche e religiose, il vero luogo del conflitto è tra l’umanesimo che ha ispirato i principi della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo ONU e un’ideologia antiumanista, basata sull’assoluto misconoscimento della dignità umana, sull’annientamento sistemico di ogni forma di alterità, e su un uso sapiente dei mezzi di comunicazione di massa (allora la radio, oggi televisione e internet). Nessuna cultura, nessuna regione del mondo è esente dai tentacoli dell’antiumanesimo. Nella Storia, non ci sono popoli né terre vergini. Al massimo singoli individui, che riescono a restare umani in mezzo al consumarsi quotidiano degli orrori dell’antiumanesimo.

2 commenti:

  1. Hai ben riassunto il cancro della nostra epoca: la mistificazione della dignità umana. Occorrerebbe maggiore sapienza, ma siamo troppo legati al dio denaro

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