Nel grottesco c’è l’incongruo. La presenza di qualcosa che non è come
dovrebbe essere e che invece è così. Quel ‘non dovrebbe’ MA ‘è così’ è la base
di ogni visione del mondo grottesca. Il MA. Non c’è grottesco senza questo iato,
senza questo MA, senza questo E INVECE. È uno iato doloroso: doloroso come ogni
iato. ‘Le cose non sono come dovrebbero essere’. Non si può pensare il grottesco
al di fuori dall’emissione di un giudizio morale. La deformazione che esso è,
la sproporzione, l’abnormità di cose persone o situazioni che lo caratterizzano (o meglio: che esso caratterizza) sono solo il
lato visibile della realtà per cui, una volta che lo iato tra come le cose
stanno e come dovrebbero essere s’è aperto, tutto può succedere. Sempre che
tale iato sia legittimo. Non è un caso, del resto, che ogni etica che fa
coincidere realtà e perfezione, ovvero, essere e dover essere, non offra spazio
al grottesco. Che infatti vive in questa sproporzione, che se viene affidata al
sentire romantico può ingenerare nostalgie di infinito che a noi disincantati
ventunesimi secoli appaiono quasi risibili. Il grottesco è il rischio di ogni
sublime. Che danzando in punta di piedi su un filo esilissimo rischia ormai di
capovolgersi nel ridicolo. Basta davvero poco. Al grottesco inerisce questa
ironia, e proprio nel grottesco diviene chiaro come ogni ironia sia sempre ‘ironia
della sorte’. E con questo ritorniamo a quel MA, a quell’INVECE, a quello iato.
Eccetera eccetera.
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